06 aprile 2009

Edmondo De Amicis: un centenario dimenticato.


Descrivendo lo stile letterario del Sindaco Basile, si è usato il termine "deamicisiano" (anche intermini visivi Basile ricordava De Amicis: grandi baffi, la lobbia......).
E' bene dire subito che il senso di tale parola per noi non è deteriore; è semmai un modo - oggi sicuramente un po' datato - di esprimersi. Ma su questo si ritornerà. Ciò che questo termine ha fatto venire alla memoria, invece, è una cosa a nostro parere importante: il centenario della scomparasa dello scrittore. Un centenario dimenticato; lasciato cadere in un oblìo che non ci piace. Vogliamo ricordalo noi, sperando che anche altri assumano le opportune iniziative. Ad Alessandria gli è dedicata una via nel quartiere Cristo e le scuole elementari di piazza Vittorio Veneto.

Scrittore, giornalista e saggista, Emondo De Amicis era nato ad Oneglia (Imperia), il 21 ottobre 1846.
È soprattutto noto per aver scritto il romanzo Cuore, uno dei testi più popolari della letteratura italiana per ragazzi, insieme a "Pinocchio" di Carlo Collodi.
De Amicis frequenta le scuole elementari e media a Cuneo, ma si trasferisce con la famiglia a Torino per il liceo. Appena compiuti sedici anni, decide di entrare nell'Accademia militare di Modena, dove diventa ufficiale. L’idea della vita militare come metodo di educazione positivo, come cammino dell’individuo verso l’integrità ed il controllo di sé, rimarrà sempre assai viva in De Amicis, e questi stessi concetti affioreranno a più riprese nella sua opera.
Durante la terza guerra d’indipendenza, De Amicis, come luogotenente, partecipa alla seconda battaglia di Custoza del 24 giugno 1866, durante la quale l’esercito italiano, comandato dai generali Alfonso La Marmora ed Enrico Cialdini, nonostante la superiorità numerica, è sconfitto dalle truppe austriache al comando dell’arciduca Alberto d’Asburgo ed è costretto a ripiegare oltre il Mincio. Questa sconfitta, unita all’incapacità dei comandati di gestire l’alto numero di soldati, spinge De Amicis a lasciare definitivamente l’esercito. Nel 1870 è a Roma, tra gli autori della Breccia di Porta Pia.
Non abbandona, invece, lo spirito patriottico, soprattutto nel periodo in cui si stava formando l’unità d’Italia. Durante la sua permanenza nell’esercito, inizia a descrivere con acutezza e curiosità scene positive della vita militare. Mentre si trova a Firenze per servizio nell’esercito, comincia a scrivere sui temi del patriottismo e sulla sua personale esperienza una serie di bozzetti, poi riuniti nella raccolta “La vita militare” del 1868, pubblicati sull’organo del ministero della Guerra, L’Italia militare, di cui era direttore. I suoi racconti riscuotono un notevole successo. Appena lascia l’esercito, De Amicis diventa inviato per la Nazione di Firenze. In questo periodo si intensificano le sue corrispondenze di viaggio dalla Spagna, di Londra, dell’Olanda, dal Marocco, da Costantinopoli e da Parigi, raccolti poi in volumi, molto letti e molto apprezzati.
Già durante il 1880, però, De Amicis inizia a ipotizzare un libro fatto con il cuore, destinato ai ragazzi, in particolare a quelli poveri. Il 17 ottobre 1886, primo giorno di scuola, l'editore Treves di Milano pubblica “Cuore”, che da subito ha un incredibile successo, tanto che in pochi mesi si superarono le quaranta edizioni, oltre alle traduzioni in decine di lingue. Il volume è costruito sotto forma di un diario del piccolo Enrico Bottini, di una facoltosa famiglia borghese, durante l’anno scolastico 1881-82, che a Torino frequenta la terza elementare.
Innanzitutto è interessante la narrazione diaristica che consente all'autore di narrare dalla parte dei piccoli lettori adottandone la prospettiva. L'Enrico, uno scolaro di una quarta elementare è il narratore intradiegetico (dentro la fabula) di primo grado. C'è anche un narratore extradiegetico di secondo grado, il maestro Perboni che ogni mese racconta ai ragazzi una storia contenente un insegnamento.
Nella narrazione, che va da ottobre a luglio, si intrecciano i commenti e le lettere degli adulti (il padre, la madre e la sorella di Enrico), oltre ai nove temi che il maestro detta ogni mese agli scolari, che propongono, di volta in volta, vicende esemplificative di bontà, coraggio, patriottismo e dedizione alla famiglia: “La piccola vedetta lombarda”, “Il piccolo scrivano fiorentino”, “Il patriota padovano”, “L’infermiere di Tata”, “Sangue romagnolo”, “Valore civile”,“ Dagli Appennini alle Ande”, “Naufragio”, “Il tamburino sardo”.

Anche dalle descrizioni del piccolo Enrico esce fuori un ampio spettro di umanità, una piccola galleria di fatti e persone, sempre carichi di un forte valore pedagogico. “Il libro Cuore”, sebbene sottolinei la differenza tra le classi sociali, esorta anche a rispettare la dignità umana e spinge verso una collaborazione tra tutti gli strati della vita civile. Nei racconti del ragazzo, i compagni di classe sembrano interpretare ognuno un “tipo” di persona, una caratterizzazione e un esempio, dal teppista e irruento Franti, al buon cuore di Garrone fino al superbo e snob Nobis. Scevri di valori religiosi, secondo un’ottica laica e risorgimentale, gli esempi del libro Cuore hanno l’esplicito proponimento di dare una lezione di vita: senso del dovere, del sacrificio e dell’impegno nello studio tanto quanto nel lavoro, rispetto della dignità altrui, patriottismo e il senso di appartenenza ad un unico organismo nazionale.

Quindi, partendo dal microcosmo (una classe di scuola municipale), passa in rassegna una società intera. Come scrive Lucio Villari, “i rapporti di classe, di produzione culturale, il costume e i comportamenti individuali e collettivi, sono nel libro inventato, una verità simmetrica del reale“.
La prospettiva è quella di un intellettuale piccolo borghese che da lì a poco aderirà al socialismo.
De Amicis fa sua la parola d'ordine di Massimo D'Azeglio che “fatta l'Italia, bisognava fare gli italiani“. Quale Italia e quale idea di nazione viene fuori dalle pagine di Cuore? Un società interclassista (nella classe di Enrico accanto a ragazzi della buona società, ci sono figli di proletari), la funzione civile della scuola pubblica, l'esaltazione del mondo del lavoro, la denuncia delle morti bianche, il Risorgimento, che sebbene ancora recente, è già epopea e collante di un'intera penisola.
E' inutile accusare De Amicis di ignorare la lotta di classe, di non percepire che il Risorgimento assunse anche i caratteri di “conquista régia” ed in certi aspetti addirittura di piemontesizzazione dell'Italia. Lo scrittore è figlio del proprio tempo, è espressione della parte migliore della borghesia italiana e nello stesso tempo di un socialismo che in quegli anni coniugava gli ideali risorgimentali e la filantropia.

Negli anni, il libro ha ricevuto moltissimo apprezzamento dai giovani e dagli adulti, almeno fino agli anni Cinquanta del nostro secolo. Agli occhi moderni, “Cuore” appare come una raccolta di tipizzazioni sdolcinate e fuori dalla nostra realtà, e l’aggettivo “deamicisiano” indica una rappresentazione smielata della realtà, piena di esempi di virtù e vizi fin troppo evidenti.

Sembra quasi ovvio il passaggio di De Amicis al socialismo intorno al 1890, fino all’adesione nel 1986. Nell’ambito politico, lo scrittore si fa portavoce dell’atteggiamento filantropico della borghesia illuminata del periodo. Il nuovo interesse per le politiche sociali è visibile nelle sue opere successive, in cui presta molta attenzione alle difficili condizioni delle fasce più povere, e dove sono completamente superate le idee nazionalistiche che avevano animato Cuore. Pubblica quindi “Sull'oceano” del 1889, che parla delle condizione dei poverissimi emigranti italiani e “Il romanzo di un maestro”, nell’anno successivo. Inoltre scrive per “Il grido del popolo” di Torino svariati articoli di ispirazione socialista, poi raccolti nel libro Questione sociale del 1894. Tra gli ultimi volumi pubblicati, L'idioma gentile (1905), Ricordi d'un viaggio in Sicilia (1908), Nuovi ritratti letterari e artistici (1908).
De Amicis morì a Bordighera (Imperia), l’11 marzo 1908.
I suoi ultimi anni sono stati rattristati dalla morte della madre, a cui era molto legato, e dai contrasti con la moglie Teresa Boassi, culminati nel suicidio del figlio ventiduenne Furio, disperato a causa della situazione familiare ormai infernale. Proprio alla vita scolastica dei figli Ugo e Furio De Amicis si era ispirato per scrivere "Cuore".
Il suo vasto archivio ricco di autografi, lettere, opere a stampa, materiale iconografico e varia oggettistica, fu donato alla Biblioteca civica di Bordighera nel 1970 dalla signora Vittoria Bonifetti, vedova dell’avv. Ugo De Amicis, secondo figlio di Edmondo, morto nel 1962 lasciando erede la moglie con l' impegno di destinare alla sua morte ogni bene di famiglia al Comune di Torino per la costruzione di borse di studio per bambini poveri.