16 giugno 2009

Un nuovo umanesimo del lavoro.


Nel post precedente si è accennato alla relazione del Segretario generale della CISL, Raffaele Bonanni, al XVI Congresso della Confederazione. Ecco la parte che ci interessa in modo particolare: un nuovo umanesimo del lavoro. E' un passaggio coraggioso e decisivo.

Da come operiamo, ora, per uscire dalla crisi dipende la qualità del futuro del nostro Paese
Proprio l’andamento e le conclusioni del G20 indicano che la ripresa dalla crisi comporterà un nuovo equilibrio tra gli Stati, una ristrutturazione del capitalismo, dei suoi rapporti con la politica, di quelli tra l’industria e la finanza, una profonda innovazione produttiva e sociale. Il problema allora è come ci prepariamo, sindacato, imprese, società, istituzioni per consentire all’Italia di partecipare a questo nuovo sviluppo dai tratti fortemente competitivi e rispetto al quale è molto alto il rischio dell’emarginazione.
Innanzitutto occorre andare oltre la lettura economico finanziaria della crisi e riconoscere proprio da questa lettura che l’origine della crisi è stata nella rimozione della centralità della persona, nel suo valore soggettivo e comunitario, e del lavoro produttivo. E’ prevalsa l’illusione di una crescita inarrestabile fondata sulle rendite professionali, finanziarie, immobiliari, speculative, secondo un modello sociale di alti redditi per alti consumi, con sempre più profonde ingiustizie.
Un modello di sviluppo, dunque, alternativo all’economia finanziaria e speculativa, deve fondarsi sulla rivalutazione del lavoro E’ attraverso il lavoro che ogni persona afferma la propria libertà e dignità, realizza un suo progetto di vita, partecipa alla crescita della comunità in cui vive.
Siamo per un “nuovo umanesimo del lavoro“ che ha le sue radici nei luoghi in cui vi è partecipazione e democrazia e che si esprime nell’etica della responsabilità di ogni persona nel proprio lavoro, nell’esercizio attivo dei diritti contrattuali e delle tutele sociali, nella partecipazione dei lavoratori nell’impresa in cui operano.
Il fondamento di una nuova coesione sociale dunque dipenderà dall’affermarsi della partecipazione dei lavoratori ai destini dell’impresa, con un nuovo equilibrio tra capitale e lavoro (democrazia economica) e della partecipazione politica e sociale dei cittadini ai destini della società in cui vivono (democrazia partecipativa).

La democrazia economica

La Cisl è in campo per ridare vigore, in ogni livello, a tutti gli strumenti della democrazia economica, la contrattazione, la bilateralità, la concertazione, la partecipazione a governance, azionariato ed utili, strumenti di partecipazione che integrano e rafforzano la democrazia politica.
Sulla partecipazione dei lavoratori alla governance, agli utili e all’azionariato collettivo è tempo che il Parlamento provveda ad unificare le diverse proposte di legge di maggioranza e di opposizione e giunga finalmente ad una legge in attuazione dell’articolo 46 della Costituzione.
Sarebbe stata un’altra storia di trasparenza e garanzia per la nostra economia rispetto ai “demoni” della finanziarizzazione, se le privatizzazioni degli anni ‘90 in Italia fossero avvenute, come chiedeva la Cisl, in un disegno di democrazia economica, con il coinvolgimento dei lavoratori. Lo stesso disegno lo riproponiamo ora come un vincolo rispetto all’ingente soccorso delle risorse pubbliche alle banche e alle grandi imprese dei settori industriali, e come una ulteriore opportunità, questa volta da non mancare, nelle privatizzazioni e liberalizzazioni dei servizi di pubblica utilità, nazionali e locali.
E’ paradossale che il fiore del modello europeo di economia sociale di mercato sia fiorito con la Chrysler in America, nella terra del libero mercato! I lavoratori per tutelare l’impiego partecipano al capitale (il 55% delle azioni) e alla governance dell’impresa. Se riuscisse anche l’intesa con la Opel, convivrebbero nel sistema FIAT - Chrysler – Opel due modelli di democrazia economica, espressa nei Consigli di amministrazione e nei Consigli di sorveglianza. Il mondo imprenditoriale e il movimento sindacale hanno di che riflettere per un rinnovamento profondo delle relazioni sindacali, ad iniziare dalla FIAT. Quella stessa FIAT che vogliamo salvaguardare attraverso il mantenimento della produzione negli stabilimenti italiani e la loro centralità nel nuovo sistema integrato. Siamo in grado di assumere la duplice sfida sia della responsabilità nella realizzazione di un modello di democrazia economica sia della innovazione nella produzione delle vetture a basso impatto ecologico, rispetto alla quale la FIAT può diventare la frontiera più avanzata, grazie alle sue capacità di ricerca. E’ urgente, pertanto, il confronto tra Governo, Fiat e sindacati, come richiesto da tempo e recentemente dalla manifestazione di Torino la cui violenza respingiamo.
Per un piano di rilancio degli stabilimenti italiani siamo pronti a fare la nostra parte, come la deve fare il Governo per sostenere l’innovazione.
Ad una partecipazione più consapevole agli investimenti aziendali deve aprirsi anche la gestione dei fondi previdenziali contrattuali, ovviamente salvaguardando il valore dell’accumulazione.
In una nuova stagione di democrazia economica l’impegno sindacale deve radicarsi maggiormente nel territorio. Dobbiamo rendere vitale l’azione del sindacato, come è stato fin dalle origini della Cisl, là dove lavoratori e pensionati vivono ed esprimono i loro problemi e possono essere protagonisti della iniziativa collettiva.
E’ decisiva la contrattazione di secondo livello, aziendale o territoriale, pienamente riconosciuta del recente Accordo che realizza un obiettivo storico della Cisl, con la valorizzazione del salario di produttività, fiscalmente incentivato, e di un pieno sviluppo della bilateralità. Con questo livello di contrattazione i lavoratori possono riconquistare il controllo di tutti gli aspetti delle condizioni del loro lavoro.
Anche il nuovo welfare si costruisce con la vertenzialità e la concertazione territoriali, dal fisco regionale e locale alla politica dei redditi, alla scuola, alle politiche per la tutela attiva dei lavoratori, alla sanità e all’assistenza (per queste ultime con un forte protagonismo della FP e della FNP nella iniziativa confederale delle Unioni).
In questo ambito della modernizzazione delle pubbliche amministrazioni, la contrattazione e la concertazione sociale si legittimano in termini confederali, se assumono come obiettivo, in particolare come parametro di efficienza il soddisfacimento della domanda e degli interessi dei cittadini e delle imprese. Non perseguire questo obiettivo significa esporsi ancor più al populismo contro i pubblici dipendenti.

La democrazia partecipativa

Il punto è la valorizzazione dei corpi sociali intermedi, ad iniziare dal sindacato, dalle associazioni, dal volontariato e dalle comunità territoriali, in cui la persona esprime identità ed interessi. Bisogna risalire la china della crisi della democrazia partecipativa.
La politica non deve esaurirsi nel mandato elettorale. Ai cittadini va restituito il diritto di scegliere chi li deve rappresentare in Parlamento. Devono tornare a contare le assemblee elettive, ai diversi livelli, svuotate da un presidenzialismo plebiscitario e dalla personalizzazione mediatica. La politica, esercitata attraverso la partecipazione delle persone, torna a rispondere ai problemi concreti, quindi ad essere proposta, progetto, mediazione.
Il populismo va combattuto. Il popolo deve tornare a contare con la partecipazione politica e sociale dei cittadini e attraverso una rinnovata vitalità delle organizzazioni sociali nella sussidiarietà. Occorre promuovere una diffusa presenza di organismi di controllo sociale dei cittadini nel territorio, dalla rivitalizzazione degli organi collegiali nella scuola, alla loro promozione in tutti i servizi pubblici.
La nuova forma dello Stato, con il federalismo fiscale, può essere la grande occasione politica ed istituzionale per dare nuova sostanza alla democrazia partecipativa, ma non è un buono auspicio che la sussidiarietà sembra scomparsa dal dibattito!